L'allora Ministro degli Esteri, Franco Frattini,
dichiarò che «le
missioni internazionali sono un biglietto da visita dell’Italia nel mondo». Non a caso, i militari italiani con i quali capita di dialogare, evidenziano, con una punta d'orgoglio, l'importante ruolo che oggi hanno le Forze Armate nella società italiana e di come questo ruolo sia frutto essenzialmente di un ritrovato prestigio internazionale. Questo prestigio deriva da tre decadi di missioni internazionali, sia con migliaia di truppe dispiegate su teatri difficili, sia in missioni numericamente più ridotte e spesso sconosciute ai più.
Da un punto di vista numerico, le Forze Armate son rappresentate da 183mila militari di Esercito, Marina e Aeronautica, da 117mila Carabinieri e da 68mila Guardie di Finanza, per un totale di circa 370mila professionisti (fonte:
Numeri Utili: Dipendenti Pubblici in Italia). Secondo le stime ufficiali, le missioni internazionali han incluso al massimo (nel 2011) circa 8mila professionisti (vedi
Numeri Utili: numero di militari italiani in missione all'estero). Tecnicamente nelle missioni all'estero partecipa anche personale della Polizia di Stato (per addestramento delle polizie locali) e personale della Riserva e Ausiliario delle Forze Armate, tuttavia, i numeri, per grandi linee, sono quelli di cui sopra.
Per capirci dunque, all'apice dell'impegno internazionale in missioni che non siano di pura formazione (come ad es. il tempo speso in basi della NATO per fini addestrativi) abbiamo circa 8mila militari all'estero su 183mila militari in servizio, ovvero circa il 5% delle FFAA (escludendo dal conto i CC e GdF). Se sia un numero alto o basso, congruo o meno, questo non lo sappiamo.
Da come la vediamo noi, leggendo semplicemente i giornali, al di là dei nomi delle missioni o dei gruppi internazionali cui si fa parte (es. non è raro veder nomi tipo "Battle Group") il dispiegamento avviene generalmente in zone meno esposte ad azioni di fuoco rispetto ai teatri dove vengono dispiegate le forze di nazioni come gli USA, Gran Bretagna, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Francia. Inoltre, ci si guarda bene dal definire le missioni internazionali "missioni di combattimento" (pure quando in effetti il combattimento c'è, come ad esempio era a
Bala Murghab in Afghanistan) o dall'effettuare interventi diretti ed unilaterali come ad esempio fa la Francia nella "sua" Africa.
Ad ogni buon conto, quello che si osserva in questi giorni è che incarichi di prestigio non mancano sulla scena internazionale. Un caso su tutti è il ruolo di comando che l'Italia ha da tempo nella missione in Libano (dove ha ben figurato un
generale, ex addetto militare qui a Londra). Di questi giorni anche la notizia, di routine, dell'avvicendamento di un reparto della Cavalleria che sarà impegnato in pattugliamenti con le forze armate libanesi (vedi
I “Dragoni” al comando della task force in Libano). Non è cosa nuova in quanto questi reparti già da tempo effettuavano missioni nella terra dei cedri però è lo spunto per una riflessione legata all'attualità:
come mai in Libano va bene fare una missione di controllo e pattugliamento dei confini con Israele (vedi i dettagli della
Missione in Libano sul sito della Difesa),
e sul fare una missione simile in Libia si tentenna?
La domanda così suona ingenua, limiamola un po'. Sul Libano c'è una risoluzione dell'ONU del 1978 che dà mandato di andar li, in una nazione con spaventosi livelli di corruzione e di fatto retta non da un governo democratico nel senso occidentale del termine ma da fazioni, a controllare il confine con Israele (che è una nazione a noi amica).
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Chi non risika non rosika |
Tuttavia, la storia di nazioni a noi alleate e di alleanze cui facciamo parte, insegna che alle volte si può accelerare una risoluzione ONU (es. per
bombardare la Libia di Gheddafi nel 2011), alle volte si deve agire senza risoluzione ONU (es. bombardamento NATO della
Serbia nel 1999 che sarebbe stato bloccato dal veto della Russia) ed altre volte la si può ignorare la risoluzione ONU (es. le spesso citate 66 risoluzioni riguardanti
Israele). Per inciso, i margini per discutere su quanto "obbligatoria" sia una "risoluzione" ce ne sono e quando fa comodo si dice che "solo le risoluzioni del consiglio di sicurezza sono obbligatorie". Le altre "risoluzioni" sono trattate alla stessa stregua di un cartello che vieta di calpestare l'erba ai giardinetti.
Detta a chiare lettere: la dipendenza di un'azione diplomatico-militare internazionale da specifiche risoluzioni ONU, è funzione delle circostanze e del peso politico-diplomatico che si ha in quel momento. Tutto il resto è buono per le lezioni nelle aule di diritto internazionale al corso di laurea in Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia. The end.
Tornando alla nostra domanda, vista la capacità delle FFAA italiane di controllare il territorio e creare bolle di sicurezza come in Afghanistan, perchè non si può intervenire militarmente in Libia ed assicurare il controllo dei porti per la verifica di chi parte verso Lampedusa? Oltre che la creazione in Libia di campi di smistamento ed identificazione dei richiedenti asilo politico alle nazioni europee?
Che le nostre non siano domande isolate lo dimostra anche un recente intervento del ministro della Difesa
Pinotti: «In Libia missione Onu come in Libano e l’Italia guiderà la coalizione»
Osserviamo ed aspettiamo.