Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che
tutto cambi – o no?
La vittoria dei
conservatori alle elezioni britanniche questo passato giovedì ha sorpreso
tutti- conservatori in primis. I sondaggisti si stanno facendo un profondo
esame di coscienza, incapaci di spiegare come i loro sofisticati metodi abbiano
potuto sbagliare di così tanto. Come scritto in un precedente post, tutti si aspettavano e avevano prognosticato
tutt’altri risultati, oltre a scenari di quasi fanta-politica su coalizioni a 3
partiti e governi di minoranza. E invece, come da buona sana tradizione di
Westminster, al governo ci sarà un solo partito, quello dei Tories, con una maggioranza
assoluta (331 dei 650 seggi di Westminster). I Labour di centro-sinistra hanno
subito una disfatta notevole non tanto in termini di voti, ma ottenendo solo
232 seggi, cioè 26 in meno delle elezioni precedenti. Per i Liberal Democrats è
stata una vera e propria Caporetto, con 49 seggi in meno rispetto al 2010 e 15%
di voti in meno. Anche il tanto temuto UKIP non è andato molto lontano,
vincendo un solo seggio, benché in termini di percentuale di supporto nella
popolazione si sia rivelato in linea con le aspettative pre-elettorali (12.6%).
Insomma, il
vecchio adagio del Gattopardo sembra avere ancora una volta ragione. Anche se
il Regno Unito è passato ad avere un sistema multipartitico, la legge
elettorale e, probabilmente, il terrorismo mediatico che è arrivato persino a
ipotizzare un intervento della regina in caso di situazione di governo
instabile, hanno avuto la meglio sulle indecisioni degli elettori britannici.
Time to go home. But not for David and Nicola |
Cosa spiega il cambiamento?
I sondaggi non
sono riusciti a immaginare, e men che meno a predire, i risultati del 7 maggio.
Fino all’ultimo hanno dato per testa a testa i due partiti principali, Tories e
Labour, sottostimando la vittoria dell’SNP in Scozia, che ha ottenuto 56 su 59
seggi disponibili. Ora le spiegazioni della sorpresa elettorale abbondano.
Riguardo alla
disfatta labourista, c’è chi accusa Miliband di aver semplicemente fallito
nell’essere un leader credibile con una narrativa coerente[1].
All’interno della sinistra stessa, Blair e i Blairisti di una sinistra più
centrista, si rammaricano che la leadership abbia alienato la classe media, e
di essersi solo rivolta a chi riceve sussidi e fatica ad arrivare a fine mese. Più
difficile da spiegare come molti dei voti per i labouristi siano finiti a UKIP,
specialmente nel nord del paese. Presumibilmente UKIP è riuscito a parlare all’
‘Inglese ordinario’ con argomenti più convincenti e terra terra dei laburisti. I
Liberal Democrats hanno raccolto i frutti – amari - di cinque anni di
coalizione e compromessi su alcuni dei loro punti programmatici fondamentali,
come le rette scolastiche. E potenzialmente anche anche subito le conseguenze
di un voto strategico di molti, che, sapendoli in declino, hanno preferito votare
per partiti più forti.
#Brexit: la vedi quella porta? |
In maniera più
positiva, altri commentatori lodano e danno tutto il merito del successo Tory alla
leadership capace di Cameron, che molti elettori, inclusa una gran parte dei
votanti laburisti, trova un primo ministro più convincente per il paese di
Miliband. In maniera pragmatica e, volendo, molto britannica, si può inoltre
riflettere sul saggio principio che gli elettori votano ‘con le loro tasche’,
ovvero basandosi principalmente sulla situazione economica. Molti giornali hanno
messo in guardia sul caos economico che un governo Labour avrebbe causato, e
sottolineato al contrario la crescita e la disoccupazione in diminuzione che
Cameron è riuscito ad ottenere durante il suo mandato. Questo può aver avuto un
peso notevole nelle decisioni degli elettori, una volta entrati nell’intimità
anonima della cabina elettorale.
The winner takes it all- the loser has to fall[2]
Questa strofa di
una canzone degli Abba riassume concisamente quello che sta succedendo ai ‘losers’,
perdenti di queste elezioni. Tutti e tre i leader dei partiti che più hanno
sofferto perdite in queste elezioni hanno deciso di dare le dimissioni. Ed
Miliband, leader Labourista, Nick Clegg, leader dei Liberal Democrats, e Nigel
Farage, leader di UKIP che non è riuscito a conquistare il seggio nella sua
circoscrizione, hanno tutti abbandonato il loro ruolo a capo dei rispettivi
partiti. Le lotte per la successione sono già cominciate, in particolare nel
partito laburista, dove si parla persino di un ritorno del fratello di Ed
Miliband, David, da molti considerato come un leader più convincente e che
aveva perso le elezioni di partito per poco contro suo fratello. Ci si domanda
se Farage resterà davvero lontano dalla politica a lungo. Al momento ha
annunciato di prendersi un periodo di vacanza, e tanti si aspettano che tornerà
all’attacco in una veste o un’altra. Le tre dimissioni sono comunque un buon
segno di una democrazia funzionante, in cui il leader assume le proprie
responsabilità e lascia spazio ad altre visioni per elezioni future.
Arrivare dal Camerun sarà più difficile col rinato Cameron? |
Ma anche il
vincitore, paradossalmente, non avrà una vita facile. Nel mandato precedente di
Cameron ci sono state più ribellioni[3]
nella House of Commons – ovvero voti in direzione opposta alla linea di
partito- che in qualunque altro governo del dopoguerra. Oggi, con una
maggioranza assai risicata di 12 seggi, sicuramente Cameron avrà non poche
difficoltà a passare leggi. Una forte disciplina di partito sarà assolutamente
necessaria, e a Westminster il ruolo di ‘chief-whip’[4]
è proprio dedicato al mantenimento di questa disciplina. Cameron dovrà quindi
imperativamente tenere a redini corte i suoi parlamentari per riuscire a fare
fronte unico sulle questioni spinose del prossimo quinquennio.
Nel futuro, rischio di spaccature dentro e fuori.
Le due sfide
principali per il nuovo governo conservatore sono due potenziali spaccature,
una all’interno e una all’esterno dei confini nazionali. La prima è quella tra
la Scozia e il resto del regno unito. La vittoria schiacciante dell’SNP, il
partito nazionalista scozzese di orientamento di sinistra, e la probabile
vittoria dello stesso nelle elezioni per il parlamento scozzese in l’anno
prossimo, significano che la Scozia ora ha la legittimità per domandare sempre
più indipendenza e diritti. Sembra in effetti strano pensare che questioni prettamente
scozzesi siano determinate da un partito di maggioranza, quello dei Tories, che
in tutta la Scozia ha vinto un solo seggio. E viceversa, che rappresentanti di
un partito puramente scozzese decida di questioni inglesi o gallesi.
Oggi siam tutti British-Italians |
L’altra divisione
che rischia Cameron è quella tra il Regno Unito e l’Europa. Il tanto temuto e
discusso referendum sull’appartenenza o meno all’Unione Europea ora accadrà per
forza nel 2017. E il fatto che UKIP, se il Regno Unito avesse un sistema proporzionale,
avrebbe vinto quasi circa 80 seggi in parlamento[5],
rende questo referendum ancora più pericoloso. La metà del partito conservatore
ha posizioni euroscettiche – o eurofobe, gli eurofili LibDems sono annientati,
gli altri elettori restano da convincere. La campagna per restare nell’UE è
cominciata letteralmente già la notte del voto, ed organizzazioni pro-UE stanno
reclutando attivamente (per es. la multi-partitica British Influence). In questi due anni a venire prima del referendum Cameron cercherà di
rinegoziare alcuni aspetti del deal UK-UE, ma sarà un compito arduo perché i
partner europei non vogliono un cambiamento al trattato, che domanderebbe
referenda in molti paesi. Cameron quindi dovrà essere un abile negoziatore e
riuscire a vendere in casa qualunque piccola battaglia vinta a Bruxelles come
una vittoria schiacciante.
Come molti
giornali inglesi scrivono, è bene che Cameron si goda queste brevi ore di
gloria e successo, perché i prossimi cinque anni saranno assai ardui per
diverse ragioni: sfide di partito, di politica, e di politiche specifiche, per
non parlare di questioni esistenziali come la Scozia e l’Europa. Se superficialmente quindi la situazione
sembra una continuazione del solido modello democratico di Westminster, con un
partito di maggioranza alla guida del paese, non è detto che in fondo, lo
scenario politico e istituzionale britannico non sia, in realtà, profondamente,
indelebilmente cambiato.
Per Italia Unica - Londra
[3] Per i dati sulle ribellioni nella House of Commons, si
legga lo studio di Cowley e Stuart su
www.psa.ac.uk/insight-plus/blog/most-rebellious-parliament-post-war-era
[4] membro di un gruppo parlamentare incaricato di tenere i
collegamenti tra il leader del partito e il gruppo stesso, assicurando che i
parlamentari votino secondo la linea del partito
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